lunes, 1 de noviembre de 2010

LUCE.

Ho preso tutta l'iniziativa che avevo e ho cominciato a travestirmi. Ho tentato una volta e non assomigliavo al personaggio dei miei pensieri. Ho tentato una seconda volta, una terza e una quarta, quando alla fine, mi sono guardata allo specchio e ho pensato che con un pò di immaginazione potevo essere quello che volevo. Poi siamo usciti di casa, tutti come sempre, tutti un pò diversi. Abbiamo percorso sempre il solito tratto di strada. E io che non ho ancora imparato ad abituarmi alla velocità della vita metropolitana. Pensando a quello che dovevamo fare, ci buttiamo nel mezzo della gente come delle trottole. Girare per le strade di Valencia portando il peso di un cervello che non è ancora riuscito a mettere in ordine tutte le informazioni che ha ricevuto mi sembra difficile. Girare per le strade di Valencia portando ai miei piedi vergini un primo paio di scarpe con tacco mi sembra doloroso. Poi come sempre, imparo a fare qualcosa di nuovo, come se fossi sempre stata capace di farlo. Che c'è sempre quell'amica americana che ha qualcosa da dirmi, un favore da chiedermi, un poco di aiuto, che mi fa stare bene. Allora penso che sta volta sì, stanotte posso aiutarla e che il mio aiuto va al di là del vestito nero che le ho prestato e di quel rosso che porta sulle labbra di quel viso pallido di neve del Minnesota. Prendo il telefono e chiamo per lei. Una, due, tre volte che Valencia è grande, c'è tanta gente stanotte e c'è sempre una piazza con una fontana che assomiglia ad un'altra, sempre una calle che non posso pronunciare, sempre qualche persona da aspettare a metà strada. Già, c'è sempre qualcuno da aspettare e mentre sono al telefono mi domando perchè. Mi domando anche perchè il mio bicchiere sia così gelido che non posso fare a meno di passarlo da una mano all'altra. Mi domando quanti minuti siano passati da quando ho schiacciato il tasto verde...uno, dos, tres, quatro, cinco, seis, siete...la mia mente che conta di Spagnolo. Finalmente uscire da quel groviglio di strade mentali e vedere quegli amici da lontano e chiamarli con il loro nome. Ricomincio un'altra volta a camminare e i miei piedi sono più rigidi di prima e nella mia testa rigira sempre la stessa canzone in Catalano che ora posso cantare ad alta voce se voglio. Entriamo in un posto pieno di luci strane e tutti ridono dei miei denti chiari, allora rido anch'io, che non c'è cosa più bella che ridere con le persone con le quali stai bene. E provo a ballare un pò ma poi li vedo. E lì capisco che per una volta l'ho aiutata davvero, la mia amica americana. Ma mi allontano da quell'immagine, che alle volte fa male. Ricomincio a camminare e il caso vuole che là, in fondo alla stanza ti scorgo un attimo, di sfuggita. E anche tu mi scorgi un attimo, di sfuggita. Ma che cos'è un attimo? Proprio in questo attimo faccio in tempo a pensare una seconda volta a quella goccia, che era lacrima, calamaro, fuliggine sulle mani e poi ancora goccia...e ti perdo. Allora devo tornare a pensare a cose più concrete come i piedi che fanno male o il caldo che non ti permette di respirare e non a cose come te. Qualche momento dopo avere iniziato a pensare a cose concrete, momento che non riesco a contare neanche in Italiano, ecco che parte quella canzone. Allora, in questo istante, ricomincio a pensare a cose come quella goccia, che era lacrima, calamaro, fuliggine sulle mani e poi ancora goccia, e a cose come te.
Tornando a casa mi sono tolta le scarpe e ho cominciato a camminare a piedi nudi sull'asfalto freddo. Mentre assaporavo il piace di questo contatto ho capito il significato di quella canzone e di tutte le cose come quella goccia e come te.




Adeu!

No hay comentarios:

Publicar un comentario