sábado, 30 de octubre de 2010

Nuvole Rapide e un attimo che passerà.

Uscire di casa. Prendere il metro fino a Valencia, che non è mai troppo lontana. Scendere dal metro. Pensare a quella goccia, che poi era lacrima, calamaro, fuliggine sulle mani e di nuovo goccia. Immergermi nella follla. Scendere giù per le strade grandi e alte, fino alla piazza. Conoscere al semaforo un gruppo di italiani con i quali faccio davvero fatica a parlare. Sembrare agli occhi altrui una Spagnola. Guardarmi intorno. Ridere vedendo una coppia che rincorre un gruppo di piccioni dall'aria malata di gas di città. Scegliere una panchina. Sedermi, al final de todo, accanto a quattro abuelitas che parlano Valenciano. Accendere l'Mp3. Ascoltare sempre la stessa canzone, che il Catalano mi piace e mi ricorda qualcosa del mio paese. Aspettare mezz'ora. Ricevere un tuo messaggio dove mi dici che ti dispiace, ma sei in ritardo. Aspettare un'altro quarto d'ora. Imparare tutti i particolari della facciata del comune. Alzare almeno dieci volte la testa verso il cielo, per poi guardarmi le suole delle scarpe. Aspettare un ultimo quarto d'ora. Sentirmi stanca e gelata, che in fondo, alle sette di pomeriggio sta cominciando a fare freddo anche quì. Guardarmi le gambe, un poco più grasse di prima, un poco più nude, che si stanno muovendo. Ricevere il tuo ultimo messaggio, che sei quì ma non mi vedi e che mi chiedi perdono per il tuo ritardo. Ponermi al centro della piazza, che è così centro che sembra quasi che faccia girare la cabeza. Guardare per ogni lato e non scorgerti. Alla fine intravederti. Che ti avvicini a me. Che hai un sorriso sulle labbra. Che in fin dei conti. Il tuo ritardo. È già stato perdonato.



Nuvole Rapide e un attimo che passerà.



Adeu!

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